“Misa
campesina” ci ha fatto ritrovare: Giorgio Bianchi
Era
il mese di giugno del 1982 quando quel giorno, dopo un viaggio di almeno sei
ore sotto la pioggia a bordo di una camionetta, per strade sterrate sulle
montagne del Nicaragua, raggiunsi il piccolo ospedale di Waslala.
Era una costruzione in legno e bambù piuttosto mal ridotta e lì conobbi Eduardo
Missoni, che già da tre anni lavorava come medico volontario nei villaggi del
Nicaragua, un Nicaragua appena uscito da una rivoluzione vittoriosa che aveva
lasciato lutti e sofferenze. Rimasi pochi giorni, ma furono giorni intensi, di
quelli che ti cambiano la vita. Di lui dopo la mia partenza, non seppi più
nulla.
Dovevano
passare trentasette anni perché casualmente mi capitasse tra le mani un libro
il cui titolo e l’autore attirarono subito la mia attenzione. “Misa campesina”
di Eduardo Missoni. Scorrendo quelle pagine era come ritrovarmi, profondamente
emozionato, immerso nell’atmosfera di quel tempo.
Il
libro racconta gli eventi che scandirono il tempo dei tre anni che Eduardo
rimase in Nicaragua. Scopre e condivide giorno dopo giorno, un mondo dove la
vita scorre in poveri villaggi di fango, abitati da un’umanità provata dalla
guerra e dalla violenza ma non abbandonata dalla speranza di un futuro
migliore. Il lavoro nei campi, le feste, la religiosità più semplice, nascite e
morti, l’amore, tutto visto con gli occhi di un medico che si prodiga ogni
giorno, tra difficoltà inimmaginabili, povertà e condizioni igieniche
disastrose a curare, con i pochi mezzi disponibili, i mali di quella comunità.
Da
quelle pagine le figure che emergono sono vive, sono reali, sono persone,
ognuna con la sua storia. Mi pare quasi di vedere i loro volti: Padre Jorge,
Flora, Domingo, Erlinda e tanti altri. I centri di salute sono il punto di
riferimento per la popolazione, ma sovente tocca recarsi in villaggi isolati
per sentieri che solo a cavallo si possono raggiungere, sotto la minaccia delle
bande controrivoluzionarie che, sostenute dagli Stati Uniti d’America, tentano
di rovesciare il governo sandinista. Ci sono giorni di sconforto per una vita
che non si é potuta salvare e altri in cui si incomincia a credere ai miracoli.
Ma sono le nascite che costellano gli eventi. Nuove vite che vengono al mondo,
sovente tra molte difficoltà, ma che fanno sperare nel futuro.
Non
sono più ritornato in Nicaragua. Sapevo come stava cambiando con gli anni la vita,
in quel paese, vittima di un neoliberismo trionfante dopo la caduta del sandinismo.
Sapevo che non avrei più ritrovato il mio Nicaragua, quel Nicaragua che aveva
fatto sognare i molti che l’avevano conosciuto. Nelle ultime pagine del libro,
Eduardo racconta del suo ritorno dopo venti anni e trova tutto cambiato. Sono
pagine permeate da una profonda malinconia per un sogno svanito col mutare
degli eventi. Avevo fatto bene non ritornare e rimanere così col mio sogno.
Sono
grato a Eduardo per avere scritto questo libro. E’ un
libro che cattura, da leggere tutto d’un fiato, che commuove profondamente, in
cui ogni pagina rivela un mondo di persone semplici che lottano per una vita di
stenti, una vita condivisa da Eduardo giorno dopo giorno, con amore.